E rieccomi di nuovo qui, alle prese con i primi freddi, i
primi malanni, i primi giorni in cui a metà pomeriggio in studio si deve
accendere la luce ed i primi giorni con i camici a maniche lunghe. Quest’anno è
stato strano, l’estate è arrivata quasi solo su carta, un settembre piovoso, un
ottobre soleggiato fino a qualche giorno fa. Di pari passo al meteo strano,
anche il mio umore è stato sempre tendenzialmente grigio a parte qualche
sporadica schiarita. Quasi mi sto abituando a questo stato d’animo un po’
malinconico, degno di tanti poeti che al Liceo mi piacevano tanto ma che in
fondo non si adattano a me, che mal mi ritrovo dopo tutti questi anni in questa
condizione. Strana la vita, è passato così tanto tempo dall’ultima volta che ho
sorriso di cuore e non con quel velo di rassegnazione, che quasi dubito di
averlo mai vissuto davvero un periodo buono. Eppure so che è così, o anche se
non fosse, da qualche parte so che il mio periodo buono mi sta aspettando. No
hay mal que dure cien anos, ni cuerpo que lo restiste, dice mia madre. Non c’è
male che duri cent’anni, né corpo che lo possa sopportare. Cinque anni a questa
lotta sono il mio più che sufficiente contributo. E così piano piano cerco di
zittire le voci che ho dentro, alle volta funziona, alle volte no. Certi giorni
non vorrei nemmeno alzarmi dal letto e certi giorni lo faccio trascinandomi tra
le ore di lavoro solo con il desiderio di tornare a casa a riposare. È una
lotta che ti sfianca fisicamente e mentalmente e ti lascia sempre con un po’ di
grigiume nello sguardo. Ma è una lotta che continuerà.
Come si è capito più volte, non sono amante della stagione
fredda, non mi piacciono i maglioni sformati e non mi piace dovermi conciare
come l’omino Michelin per uscire. Ma s’ha da fare se hai un metabolismo che fa
schifo e pochi cm di ciccia per coprirti. Non mi piace la monotonia della
frutta, mela, pera, kiwi, banana, non mi piace che il rosso del pomodoro sia
smorto e quel poco non se l’è certo guadagnato sotto il sole. Ma ancora il mio
lavoro o il mio facoltoso marito (che ancora devo conoscere eh?) non mi
permettono di svernare ai Caraibi, quindi sto qua, avvolta nella mia coperta di
pile a sorseggiare il mio thè e a cercare ricette carine ed originali da
provare…o come capita spesso, intasare i “Preferiti” di Mozilla.
Una delle cose (ce ne sono, ce ne
sono un paio, lo ammetto!) sono loro: cavoli, verze, cavolfiori e famiglia… li
adoro in ogni forma, colore e dimensione e quando ho ripreso in mano il numero
di “Vegetarian Times” comprato qualche mese fa a New York non ho potuto fare a
meno di accendere il fornello e cucinare. Ho modificato qualcosa per adattare
la ricetta a quello che avevo in casa ma il risultato è comunque un contorno sorprendente!
RAINBOW STIR- FRY
INGREDIENTI:
3 cucchiai di succo d’arancia
2 cucchiai di salsa di soia a ridotto contenuto di sale
1 cucchiaino di preparato per pasta aglio, olio e
peperoncino (si può sostituire con del peperoncino o paprika in polvere ed un
po’ d’aglio in cottura)
2 cucchiaini di olio di sesamo
Mezzo cavolo cappuccio rosso (diciamo 300g) tagliato
sottilmente
1 peperone rosso tagliato a listarelle
1 zucchina piccola tagliata a julienne
100 g di edamame surgelati
3-4 manciate di funghi champignon affettati
4 cipollotti tagliati sottilmente
HOW TO:
Per prima cosa, preparare la salsina: in un bicchiere
mescolare insieme succo d’arancia, salsa di soia e peperoncino. Scaldare a
fiamma alta l’olio di sesamo in un wok o in una padella. Aggiungere i funghi,
mescolare e lasciar cuocere per circa tre minuti. Aggiungere 3 cucchiai d’acqua
ed il cavolo cappuccio. Cuocere, mescolando, per altri 4 minuti. Aggiungere il
peperone a listarelle, la zucchina, gli edamame, un paio di cucchiai d’acqua e
cuocere per 4 minuti. Aggiungere quindi i cipollotti e versare la salsina all’arancia.
Mescolare e cuocere per altri due minuti a fiamma media.